Definizioni nella Scienza
Cercando in letteratura il primo riferimento che si trova relativamente al termine di “fascia” risale al 1814 (1). L’articolo descrive come un intervento chirurgico per ridurre una frattura della gamba (fibula e tibia) abbia risolto il dolore e l’infiammazione, separando le fasce dei muscoli e i diversi strati di tessuto. Il concetto alla base dell’articolo del 1814 è che la fascia è composta da tessuto connettivo, che separa e sostiene i muscoli, pressoché come oggi.
Vediamo dove è possibile trovare il termine fascia nelle descrizioni degli ultimi decenni, ad esempio il “Federative International Program on Anatomical Terminologies” (FIPAT) nel 2011, ha definito la fascia come “una guaina, un lenzuolo o qualsiasi altra aggregazione dissecabile di tessuto connettivo, che si forma sotto la pelle per attaccare, racchiudere e separare muscoli e altri organi interni” (2).
Il “Fascia Nomenclature Committee”, ovvero il Comitato per la Nomenclatura della Fascia nel 2014, definisce la fascia come “il sistema fasciale che comprende tessuto adiposo, la tonaca avventizia, le guaine neurovascolari, le aponeurosi, le fasce profonde e superficiali, il derma, l’epinevrio, le capsule articolari, i legamenti, le membrane, le meningi, il periostio, i retinacoli, i setti, i tendini, i tessuti connettivi intramuscolari e intermuscolari, tra cui endomisio, perimisio, epimisio” (3). La “Foundation of Osteopathic Research and Clinical Endorsement” (FORCE) fondata nel 2013, ha aggiunto sangue e linfa o tessuto connettivo specializzato al termine fascia (4). Infine nel 2019 si trova l’ultima descrizione aggiornata: “la fascia è qualsiasi tessuto che contiene caratteristiche in grado di rispondere a stimoli meccanici. Il continuum fasciale è il risultato dell’evoluzione della perfetta sinergia tra diversi tessuti, liquidi e solidi, in grado di supportare, dividere, penetrare, nutrire e collegare tutte le regioni del corpo, dall’epidermide all’osso, coinvolgendo tutte le sue funzioni e strutture organiche. Questo continuum trasmette e riceve costantemente informazioni meccano-metaboliche che possono influenzare la forma e la funzione di tutto il corpo. Sono inclusi: “epidermide, derma, grasso, sangue, linfa, sangue e vasi linfatici, tessuto che copre i filamenti nervosi (endonevrio, perinevrio, epinevrio), fibre muscolari striate volontarie e tessuto che lo copre e lo permea (epimisio, perimisio, endomisio), legamenti, tendini, aponeurosi, cartilagine, ossa, meningi e lingua” (3).
Andando nel dettaglio nel 2016 Wilke J. e altri (5) hanno analizzato quello che Myers nel 2014, nel testo “Anatomy Trains” ha esemplificato essere alla base del “come il corpo si muove”, più come un sistema di tensegrità miofasciale, rispetto a un sistema di muscoli e leve individuali. Questi meridiani miofasciali sono considerati linee di trazione che distribuiscono la tensione, dunque trasmettono forza e influenzano la struttura e la funzionalità del corpo. Ma in realtà la continuità strutturale è stata verificata solo per 3 dei 6 meridiani esaminati (linea posteriore superficiale, linea funzionale posteriore, linea funzionale anteriore) nella revisione.
Figura 1: i 6 meridiani miofasciali esaminati (da sinistra a destra: linea a spirale, linea laterale, linea funzionale anteriore, linea funzionale posteriore, linea posteriore superficiale e linea frontale superficiale).
La rilevanza pratica della ricerca è duplice:
- In primo luogo, l’esistenza di meridiani miofasciali potrebbe aiutare a spiegare il fenomeno del dolore riferito, che si verifica spesso in disturbi non specifici, dato che è stato dimostrato che i punti trigger miofasciali del polpaccio provocano dolore che si irradia alla pianta del piede e al compartimento posteriore della coscia; dato che questo modello di proiezione corrisponde al decorso della linea superficiale posteriore, potrebbe costituire il substrato morfologico.
- Un secondo aspetto riguarda la terapia e l’allenamento del sistema muscolo-scheletrico, dato che il trattamento secondo i meridiani miofasciali potrebbe essere efficace nel ridurre la lombalgia, come diversi studi hanno dimostrato, in cui pazienti con lombalgia hanno mostrato una ridotta flessibilità del tendine del ginocchio (6,7). A causa della relazione morfologica diretta dei muscoli posteriori della coscia e della regione lombare (entrambi fanno parte della linea superficiale della schiena), intervenire sulla diminuzione della tensione dei muscoli posteriori della coscia potrebbe essere un approccio per alleviare il dolore. Le lesioni da sovraccarico negli sport agonistici rappresentano un’altra entità di problematiche che possono verificarsi per via della presenza di meridiani miofasciali. Studi recenti indicano che la tensione del gastrocnemio e dei muscoli posteriori della coscia sono associati alla fascite plantare (8,9). Dato che entrambi i muscoli e l’aponeurosi plantare appartengono alla linea superficiale della schiena, potrebbero rappresentare un obiettivo della terapia fisica, inoltre si suggerisce come il dolore all’inguine o la pubalgia siano provocati da una debolezza dell’adduttore lungo e del retto dell’addome (10,11) che secondo i degli autori risultati sono direttamente collegati nella linea funzionale anteriore e la tensione dell’adduttore può quindi svilupparsi a causa della comunicazione con il retto dell’addome attraverso il collegamento descritto.
Ma tale ricerca concludeva anche ponendo dei limiti a conclusione dell’articolo che fanno intendere come la “teoria” delle catene miofasciali avesse bisogno di ulteriori approfondimenti per essere resa certa, perché sebbene all’interno dei suoi confini, il sistema dei meridiani miofasciali rappresenti un approccio promettente per trasferire in pratica i principi della tensegrità, a seconda della localizzazione, la fascia in generale presenta differenze sostanziali in termini di spessore, quantità di fibre elastiche e aderenza al muscolo sottostante. Inoltre, il numero di fibre di collegamento non è uniforme e mostra una notevole variazione per transizioni diverse. Questo ha un significato particolare perché le strutture che collegano le stazioni muscolari dei meridiani comprendono tessuto tendineo, aponeurotico e legamentoso, nonché la fascia profonda. In ultimo la revisione conclude affermando come sia fondamentale chiarire il “significato funzionale delle catene miofasciali”, poiché la capacità di trasferimento di tensione rappresenta il criterio decisivo per giustificare la considerazione dei meridiani miofasciali. Sebbene l’evidenza disponibile indichi l’esistenza di una trasmissione a trazione attraverso percorsi miofasciali, la maggior parte delle ricerche sperimentali è stata condotta in vitro usando cadaveri, e per questo, gli autori hanno posto l’accento sulla necessità di studi randomizzati e controllati in vivo per trarre ipotesi più precise, poiché la fissazione, il congelamento e lo scongelamento hanno dimostrato di alterare le proprietà biomeccaniche. Per cui si capisce come il comportamento in vivo delle strutture adiacenti sia necessario che venga svelato, per la rilevanza pratica delle connessioni miofasciali intermuscolari proposte nella riabilitazione, nella ginnastica post-riabilitazione, nell’esercizio attivo e nell’ambito preventivo.
Riassumendo da quanto si evince dalla Revisione verrebbero considerate 3 Catene Miofasciali, come da figura 2.
Figura 2: A. Catena Funzionale Anteriore (FFL); B. Catena Superficiale Posteriore (SBL); C. Catena Funzionale Posteriore (BFL)
I Concetti di Biotensegrità e Fasciotensegrità
Questi concetti, insieme alla spiegazione approfondita delle catene miofasciali, vengono spiegati in modo ampio nella Revisione di Febbraio di quest’anno di Bordoni e Myers (12).
Nel testo si parte dalla visione del corpo umano come insieme basato e gestito da sensazioni: emozioni, dolore e movimento, come ad esempio accade per il cervelletto considerato classicamente come un’area per l’ordinamento e la gestione delle informazioni utilizzate per il movimento è, tuttavia, anche un importante crocevia d’informazioni relative al dolore e alle emozioni. Gli afferenti cerebellari arrivano a colpire le reti corticolimbiche; il cervelletto è coinvolto in tutte le informazioni percettive (propriocettori, nocicettori, intercettori, esterocettori) come elaborazione percettiva. Le informazioni croniche alterate da condizioni come dolore, depressione, mancanza di movimento influenzeranno negativamente l’aspetto cognitivo (memoria, risoluzione dei problemi, elaborazione delle idee).
In tutto questo il continuum fasciale consente il movimento ed è una fonte d’informazioni in una reciproca interrelazione, che è in grado di influenzare anche l’aspetto cognitivo (13). Da questi concetti nasce la necessità di inquadrare il sistema fasciale in un modello in grado di rappresentare i vivi e comprendere, prevenire e possibilmente curare le disfunzioni che possono derivare dalla fascia, come ad esempio, un sistema fasciale disfunzionale potrebbe essere una delle cause che determinano i sintomi della fibromialgia (14,15). Nel 1968 La scoperta della contrazione di fibroblasti e miofibroblasti ha indirizzato l’attenzione della ricerca verso il tessuto fasciale, con un gran numero di pubblicazioni dalla fine del XX secolo (16,17).
Attualmente, come descrivono i due autori, nel panorama scientifico, possiamo trovare alcuni modelli fasciali: modello biotensegritivo, modello fasciotensegritivo e le catene miofasciali.
- Il primo modello è stato ispirato da un’idea architettonica di Fuller, che per primo ha coniato il termine tensegrità, cioè una struttura in equilibrio tensionale (tensione meccanica costante e compressione non costante) (18). Il passo successivo del Dott. Levin è stato coniare il termine biotensegrità, riportando il principio alla base di Fuller nei vivi (19). La trasmissione della tensione meccanica (attiva o passiva) determina un costante adattamento della struttura del corpo, senza danneggiare o deformare l’integrità della forma e della funzione; questo concetto può essere applicato a tutto il corpo, dalla singola cellula, fino alla struttura contrattile. Ciò che manca a questo modello meccanico teorico è l’integrazione della tensione causata dal tessuto nervoso, dal tessuto vascolare, dal movimento dei visceri e dai fluidi corporei (fascia liquida), come sangue, linfa, fluidi interstiziali e intracellulari. I fluidi corporei non solo consentono la vita e la continuità funzionale ma, in particolare, determinano il passaggio delle tensioni meccaniche dei muscoli più velocemente e consentono ai meccanismi meccano-trasduttivi di esprimersi in un ambiente corretto.
- Il secondo modello teorico chiamato fasciotensegrità non include solo i tessuti integrati nella biotensegrità, ma aggiunge fluidi, rendendo il continuum fasciale più speculare di quelli che i moderni dettami scientifici hanno sul comportamento cellulare e sistemico. Ciò che manca a questo modello è la contestualizzazione della sfera emotiva e della sfera del dolore, poiché questi aspetti possono influenzare il corpo umano e il sistema fasciale (20).
- Le catene miofasciali riflettono perfettamente il concetto di continuità corporea e possiamo trovare il termine catene muscolari (chaînes musculaires) di Busquet (1992) e di Souchard (1993), arrivando a Paoletti con le catene fasciali “Les Fascias” (1998), Myers gettò le basi per le catene miofasciali nel 1997, mentre Stecco nel 1988 constatò continuità muscolare e meridiani di agopuntura (21,22). Il concetto di catene miofasciali riassume come la tensione di un distretto contrattile abbia ripercussioni e influenze su altri distretti vicini e lontani ed è utilizzato in diverse discipline, dalla fisioterapia, alla ginnastica adattata, fino allo sport (23,24).
Catene secondo Busquet
Figura 3: catene muscolari secondo Busquet (25)
Catena di flessione
Si estende dall’estensore lungo delle dita al muscolo temporale e determina la flessione del piede, del ginocchio, dell’anca, e del tronco. In caso di iperprogrammazione può causare: dita a martello dei piedi, flessione del ginocchio, retroversione del bacino, diminuzione delle curve della schiena.
Catena di estensione
Si estende dal quadrato plantare alla aponeurosi cervicale e determina flessione delle dita dei piedi, estensione del ginocchio, dell’anca e del tronco. In caso di iperprogrammazione può causare: un aumento dell’appoggio metatrsale, ginocchio recurvato, antiversione del bacino, aumento delle curve della schiena.
Catena di apertura
Si estende da muscolo opponente del quinto dito del piede agli scaleni e determina supinazione del piede, rotazione esterna di tibia e femore, allungamento funzionale dell’arto inferiore, torsione e/o apertura del tronco e retropulsione di spalla. In caso di iperfunzionamento può causare: piede cavo-varo, ginocchio varo, torsione di bacino e tronco.
Catena di chiusura
Si estende dal trasverso dell’alluce allo splenio del collo e determina pronazione del piede, rotazione interna di tibia e femore, accorciamento funzionale dell’arto inferiore, torsione e chiusura del tronco e anteposizione di spalle. In caso di iperfunzionalità può causare: piede valgo pronato, ginocchio valgo, torsione di bacino e tronco.
Catena statica posteriore
Catena di natura non muscolare, ma fasciale, con funzione antigravitaria, favorendo il mantenimento dell’equilibrio nella posizione ortostatica a prevalenza monopodalica.
Catena linguale
Catena situata in sede prevalentemente antero-mediana, è fondamentale nel meccanismo si suzione-deglutizione. Se iperprogrammata può causare tra i vari compensi testa protesa in avanti, aumento delle curve della schiena, ventre prominente, intrarotazione delle ginocchia e/o dei piedi.
Catene secondo Souchard
Figura 4: catene muscolari secondo Souchard. Da sinistra: grande catena posteriore, grande catena anteriore; fila in alto: catena respiratoria, catena superiore della spalla, la catena anteriore del braccio; fila in basso: catena anteriore della spalla, catena antero interna dell’anca, catena laterale degli arti inferiori (26)
La grande catena anteriore
Formata dal sistema sospensore del diaframma e dei visceri, dallo sterno-cleido-mastoideo, dal muscolo lungo del collo, dagli scaleni, dalle congiunzioni muscolari del diaframma, dall’ileo-psoas e la fascia iliaca, dagli adduttori e dal tibiale anteriore.
La grande catena posteriore
Formata dai muscoli spinali, dai pelvi-trocanterici, dal grande gluteo, dagli ischio-crurali, dal popliteo, dal tricipite surale e dai muscoli plantari.
Le catene muscolari sono la rappresentazione della coordinazione motoria. Il lavoro attivo è il requisito indispensabile affinché si possa realizzare il “rilassamento tonico” dei muscoli accorciati sfruttando il riflesso miotatico inverso e tutte le correzioni possano venire integrate dai meccanismi automatici deputati al controllo della postura e della miglior gestualità.
Catene secondo Paoletti
Figura 5: le fasce secondo Paoletti
Membrane, aponeurosi, legamenti, mesos, tutte queste strutture sono in realtà solo fasce derivate dallo stesso foglio embriologico: il mesoderma, esso stesso derivante da un tessuto ancora più indifferenziato: il tessuto mesenchimale. Durante lo sviluppo embrionale, il mesoderma subirà un avvolgimento in tutte le direzioni. Questo sarà all’origine di una micromotion: la motilità, che non si fermerà fino alla morte. Presente a tutti i livelli del corpo, la fascia costituisce un elemento fondamentale della fisiologia umana, in particolare grazie al suo ruolo difensivo. La sostanza fondamentale della fascia è la prima barriera di difesa del corpo. Questo agisce in modo indipendente prima dell’intervento delle strutture midollari e superiori, per questo si può parlare di “cervello periferico”. È a questo livello che si instaura un dialogo permanente tra l’ambiente intra ed extracellulare al fine di mantenere l’equilibrio funzionale del corpo.
Dal punto di vista meccanico, per combattere i vincoli, le fasce sono organizzate in catene fasciali. Se lo stress supera una certa soglia, la fascia modificherà la sua viscoelasticità, quindi le fibre di collagene, e la catena fasciale verrà convertita in una catena lesionale.
Qualsiasi trauma è ricordato dalla fascia e provoca un cambiamento nella motilità. L’estrema sensibilità della nostra mano, in grado di percepire i movimenti di pochi micron, può evidenziare i disturbi della motilità che riveleranno la storia del paziente.
Le tecniche ben adattate saranno in grado di ripristinare la motilità e la distorsione fasciale e quindi consentire al corpo di ripristinare le normali funzioni fisiologiche e una buona salute. Quindi possiamo dire che la salute è in gran parte nella fascia (27).
Catene secondo Stecco
Figura 6: i 14 segmenti funzionali composti da parti di muscoli, una o più articolazioni correlate e il loro contorno fasciale. I termini latini sono usati per descrivere questi segmenti (28)
Luigi Stecco ha confrontato molti libri di testo di anatomia umana con la diversità dell’anatomia dei vertebrati e degli invertebrati dal mondo animale, insieme a testi riguardanti l’agopuntura e i punti trigger miofasciali, prima di sviluppare modelli che si concentrano sul ruolo del tessuto fasciale in disfunzioni muscoloscheletriche e interne. Attraverso i suoi studi anatomici, Stecco ha realizzato che la fascia è strutturata in modo da coordinare e percepire i movimenti del corpo umano e secondo i vari strati anatomici della fascia, divide il sistema fasciale nei 14 segmenti funzionali che si possono vedere in figura 7.
Ogni segmento è governato da unità miofasciali che compongono sequenze miofasciali, diagonali e spirali per disfunzioni muscoloscheletriche; tensostrutture e catene per disfunzioni interne di organi e apparati e quadranti per disfunzioni della fascia superficiale. Stecco ha identificato e mappato le aree chiave in queste strutture fasciali in cui la mancanza di scorrimento tra gli strati fasciali può apparentemente alterare la propriocezione, il reclutamento muscolare e le funzioni interne, portando a sintomi di dolore non specifico o dolore miofasciale. Il sistema fasciale è una rete molto complessa, tridimensionale e multistrato ed è è essenziale perché fornisce una sorta di GPS che possiamo seguire per capire come le compensazioni delle tensioni si diffondono in tutto il corpo e dove agire per risolvere queste tensioni
Approfondimento
Riprendendo ciò che Bordoni e Myers hanno scritto nell’ultima revisione, da un punto di vista microscopico e macroscopico, è stato dimostrato che il tessuto miofasciale (muscolo e tessuto connettivo) può trasmettere la tensione prodotta ad altri muscoli, attraverso studi su animali, cadavere e in vivo (22,29,30).
A livello microscopico, la cellula muscolare può attuare strategie diverse, basate sulla morfologia del muscolo. Nei muscoli a forma di fuso, il sarcomero che si contrae o si allunga, trasmette la tensione ai costameri e ai sarcomeri in serie, che trasmettono la tensione al sarcolemma; il sarcolemma trasmette la forza attraverso le proteine transmembrane (gruppo di integrine e altri) verso la matrice extracellulare e, infine, verso l’endomisio e il tendine (31,32,33).
In base alla pennazione del muscolo la trasmissione della forza risulta diversa. La produzione di tensione da parte dei sarcomeri viaggia principalmente da sarcomero a sarcomero parallelo, poiché le fibre non sono in linea con il tendine, ma sono oblique rispetto all’asse longitudinale; la velocità è più lenta ma, in questa modalità, la forza espressa è maggiore. Nel muscolo fusiforme, la distribuzione è longitudinale, mentre nel muscolo pennato la distribuzione è prima parallela e poi longitudinale (34,35). La tensione prodotta viene portata ad altri distretti muscolari vicini; questo meccanismo è chiamato trasmissione della forza miofasciale intermuscolare (32,33). La tensione prodotta dal muscolo verso le strutture non muscolari è chiamata trasmissione della forza miofasciale extramuscolare e la distribuzione della tensione miofasciale tra i muscoli agonisti e antagonisti tiene bilanciati i due meccanismi, di cui una rappresentazione la si può vedere nella posizione della ragazza in figura 7 (36).
Figura 7: la figura mostra come il corpo in toto sia in tensione per il mantenimento della posizione, dimostrando una continuità miofasciale.
Da un punto di vista macroscopico, studi di revisione e su cadavere (come in figura 8), con trazione meccanica o manuale, hanno messo in luce l’esistenza di alcune linee miofasciali e per fare un esempio, nello stretching degli arti inferiori, in persone sane, si migliora il range di movimento del tratto cervicale in flessione/estensione (37,38).
Figura 8: illustrazione della linea frontale profonda, che mostra la connessione continua del tessuto miofasciale, dai muscoli delle dita dei pied fino alla lingua. L’immagine è tratta dal libro di Thomas Myers, Anatomy Trains. Myofascial Meridians for Manual & Movement Therapists, Churchill Livingstone, 2013
Secondo gli autori alla luce di quanto scritto, come ricordato nelle conclusione di Wilke J. e altri 2016, (5) non esiste sempre un accordo sull’esistenza di catene miofasciali nei diversi piani del corpo e le ragioni sono dovute alla mancanza di studi approfonditi su tutte le catene fasciali del corpo, alla difficoltà di studiare queste connessioni miofasciali in vivo e alla difficoltà di comprendere davvero come queste catene si combinano negli studi su cadavere, poiché, molto spesso, l’elaborazione per esaminare il cadavere coinvolge il perdita della massima capacità di movimento dei tessuti e attività elettrica, come anche studiato sempre da Wilke J. e altri in un altro suo studio pubblicato sempre nel 2016 (39).
Non si conoscono altresì le connessioni neurologiche tra i muscoli antagonista e agonista dell’intera continuità corporea e sapendo, ad esempio, che idratazione e fluidi influenzano fortemente la tensione prodotta dal tessuto miofasciale e che la rigidità meccanica dipende principalmente da acqua e fluidi (40,41), il tessuto connettivo può variare la sua tensione in pochi minuti e questo evento potrebbe alterare i risultati della ricerca, nonché la diversa percentuale di fibre muscolari e il diverso angolo delle fibre rispetto all’asse longitudinale del distretto muscolare, in relazione ad età, attività sportiva o presenza di malattie (42).
La ricerca non considera in profondità la presenza di connessioni trasversali fasciali con i distretti muscolari, come l’aponeurosi del bicipite brachiale (https://en.wikipedia.org/wiki/Bicipital_aponeurosis) tra il bicipite brachiale e la fascia antebrachiale o altre strutture fasciali, non necessariamente in una posizione “logica” rispetto alle linee di forza dei muscoli, come la fascia di Osborne (43) o il legamento di Struthers (44).
Devono essere prese in considerazione variazioni anatomiche soggettive, che possono influenzare la trasmissione intermuscolare, nonché la relazione dei visceri con i muscoli mediante connessioni connettive, come, ad esempio, accede nel muscolo del diaframma che è strettamente correlato al fegato attraverso la capsula di Glisson correlata al duodeno, allo stomaco e all’esofago. Dovremmo prendere in considerazione il fatto che la muscolatura del torace è a stretto contatto con la fascia peri-ossea (davanti alle costole/sterno e dietro le costole/sterno) o il fatto che il movimento del diaframma influisca sulla parte anteriore e sul sistema fasciale posteriore del tronco (45). Non sappiamo come l’alterazione del torace o del diaframma in presenza di patologie sistemiche (polmonari, cardiache) sia in grado di alterare le relazioni tra distretti contrattili locali e distanti. Come anche le emozioni possono alterare le risposte nel continuum fasciale e non abbiamo ancora elementi in mano per capire in che modo uno stato emotivo può influenzare la relazione delle catene miofasciali del corpo (13).
In conclusione modelli che tentano di rappresentare il corpo umano attraverso il continuum fasciale (biotensegrità, fasciotensegrità e catene miofasciali) si basano su concetti validi ma che, al momento, non includono molte sfumature del soggetto vivo. Per questo motivo, dobbiamo ricordare che sono solo rappresentazioni teoriche che necessitano di ulteriori passi in avanti per comprendere meglio come la fascia si comporti in presenza di anomalie anatomiche soggettive e in presenza di patologie, locali e sistemiche. Dobbiamo sapere come l’istologia della fascia cambia in base all’età, in base all’assunzione giornaliera di farmaci e come queste variabili possono influenzare l’adattamento della continuità miofasciale.
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